O di come trovare un linguaggio universale si sia rivelata una ottima mossa di marketing
A circa un’ora da Manhattan, a Carlstadt, nel New Jersey, esiste un’azienda che classifica il colore e lo vende.
Viene fondata negli anni ’50 dai fratelli Morris e Jesse Levine e per più di 10 anni si è occupata principalmente di stampa commerciale. È solo negli anni ’60 che conosce la sua completa evoluzione quando un dipendente, Lawrence Herbert, si occupa di rinnovare la divisone inchiostro e stampa, introducendo un’innovazione che semplificasse lo stock di pigmenti dell’azienda e la produzione di inchiostri colorati, portandola a diventare l’unica autorità globale sul colore in circolazione.
Vendere colore, in un mondo in cui ognuno non solo percepisce il colore diversamente ma esistono diversi modi per riprodurlo a livello tecnologico (e con risultati sempre diversi) sembrava una follia.
E lo era, prima di Pantone e del Pantone Matching System, uno strumento che permette la selezione, l’espressione e la riproduzione fedele di colori uniformi e accurati in qualsiasi parte del mondo.
Herbert, che nel frattempo aveva rilevato l’azienda dai Fratelli Levine, aveva notato quanto fosse difficile per designer, agenzie pubblicitarie e stampatori comunicare quando si trattava di colore. Creò quindi la sua prima guida ai colori Pantone nel 1963, identificando 10 colori per tonalità e assegnando loro un numero per ridurre le variabili che si verificano nel processo di stampa.
Questo sforzo per creare un linguaggio numerico oggettivo si tradusse nella possibilità di consentire a chiunque, con qualunque stampante in qualsiasi parte del mondo di riprodurre accuratamente un colore.
A sostegno della sua ricerca per insignirsi e mantenere il titolo di compositore di un “linguaggio universale del colore”, Pantone ha fatto molto di più che classificare centinaia di tonalità; ha intrapreso una strategia di marketing ambiziosa e duratura. Ma invece di produrre spot televisivi o comprare inserzioni su pagine di riviste, Pantone ha sparso la voce sui suoi servizi orientati al colore per quasi 20 anni attraverso un particolare impegno annuale: ogni anno dal 2000, Pantone nomina il suo “Colore dell’anno”.
Pantone trascorre più di sei mesi alla ricerca i ogni nuovo colore dell’anno, perlustrando una vasta gamma di mercati, dalla moda ai cosmetici, all’arredamento della casa.
È un processo complesso, che non si limita ad individuare e prevedere le tendenze ma a comprendere la giusta “temperatura” sociale, interpretando le emozioni che un colore può evocare e come può risuonare globalmente in un determinato momento storico.
Uno (tra i tanti esempi) è stata la scelta del 2016 quando, per incarnare il crescente movimento attorno alla fluidità di genere ha proposto uno spettro di colori che va da un “Rose Quartz” a un blu “Serenity”.
L’obiettivo
Fin dall’inizio degli anni 2000 la spinta propulsiva degli sforzi di marketing si è concentrata su un unico stimolo, quello di coinvolgere le persone a instaurare conversazioni sul colore ed è piuttosto facile comprendere come, prima dell’avvento del medium conversazionale per eccellenza, questo obiettivo fosse quanto mai ambizioso (hello instagram, hello twitter).
Perciò Pantone ha trasformato le comunicazioni commerciali pure in collaborazioni di prodotto, andando a riempire gli scaffali del retail di magazzini iconici come ad esempio Le Galeries Lafayette a Parigi. La prima vera partnership però arriverà solo nel 2012 con Sephora, attraverso il lancio della linea “Tangerine Tango”, ospitata inoltre per una settimana in un temporary store pop up a Manhattan.
Brand awareness e profitti
Se questa strategia ci sembra sensata o, se al contrario, la liquidiamo con la temuta espressione “è tutto marketing” abbiamo ragione entrambe le volte.
Nel corso degli anni, Color of the Year ha contribuito a elevare il marchio Pantone come “più di una semplice azienda di standard di colore”, afferma Laurie Pressman, vicepresidente del Pantone Color Institute, che vede il programma non come uno strumento di marketing palese che si traduce in profitti immediati per Pantone, ma come una campagna di brand awareness indiretta che ha avuto un indiscutibile effetto alone sul brand.
L’attesa che precede la rivelazione annuale agisce da potentissimo reminder e la grande spinta che la circonda aiuta Pantone a mettere continuamente il suo nome in circolo e ad attirare nuovi clienti in ogni settore in cui il colore è importante.
Ma lungi dall’offrire un solo nuovo colore all’anno, Pantone rilascia una più ampia selezione di tonalità ogni uno o due anni. Ad esempio, nel marzo 2016, Pantone ha annunciato che stava “introducendo con orgoglio 112 nuovi colori” al suo sistema esistente “per offrire ai designer una gamma più ampia di espressione e libertà”. Prima di allora, nel 2014 e nel 2015, aveva aggiunto 84 colori al mix e tra il 2012 e il 2013 ha incorporato ben 336 nuove tonalità. L’azienda completa la sua offerta con proiezioni cromatiche stagionali e collezioni aggiuntive dedicate al suo arsenale di tonalità in continua espansione.
Tali colori sono raccolti in una serie di prodotti Pantone – dal suo “Color Specifier & Guide Set” da $ 969 al suo “Planner” da $ 1360 per l’interior design – che sono commercializzati a un numero non piccolo di marchi rivolti al consumatore, che si tratti di alta moda o aziende produttrici di tappeti, poiché “avere i colori giusti tra cui scegliere è essenziale quando si prendono decisioni di design”, sempre secondo il marchio, chiaramente.
Viva Magenta e l’economia esperienziale
Per chi è un o una 90 kid come la sottoscritta quel “Viva” si associa mentalmente a “Forever”, che altro non è che il titolo del quarto e ultimo singolo dell’album Spiceworld (vi ricordate il video con le fatine, no?)
Lo metto qui per un breve momento nostalgia del tutto decontestualizzato
Ora, se questa associazione mentale ti ha fatto fare un click nel cervello probabilmente è perché alcuni stimoli sensoriali sedimentano in maniera più profonda e prolungata di altri, rispetto alla rilevanza che hanno per noi (ma ci torniamo).
Anyway,
Il marchio definisce così il nuovo Color of the Year Viva Magenta 18-1750:
Coraggioso e senza paura, un colore pulsante la cui esuberanza promuove una celebrazione gioiosa e ottimista, scrivendo una nuova narrativa
Un rosso animato e primordiale che si ispira a uno dei coloranti più longevi della storia dell’umanità, la cocciniglia. Questo aspetto naturale è uno dei principali punti focali di Pantone quest’anno. Proprio come il “trasformativo” Very Peri del 2022 ha toccato le tendenze del Metaverso e degli e-games, Viva Magenta risponde allo stesso panorama.
Mi fa molto pensare che in un’era tecnologica come la nostra si sia scelto un colore quasi atavico, che riconnette l’essere umano alle radici profonde dalle quali proviene. Ma è stata suppongo una scelta molto sentita e molto ponderata, dal momento che la natura, il senso profondo delle cose e una certa forza ed empowerment siano cose a cui ci siamo rivoltə nell’ultimo anno, soprattutto dopo la pandemia.
Questo termometro sociale è la vera forza della strategia Pantone, il suo interpretare e anticipare il sentire, il suo tradurre dati e informazioni in qualcosa che può apparire semplicistico come “il colore dell’anno”.
E questo perché il colore conta. Ha un impatto sul modo in cui ci sentiamo, sul modo in cui pensiamo, sul modo in cui reagiamo. Può stimolare e lenire, eccitare e calmare. Tanto quanto un logo o un messaggio, il colore è una parte vitale del processo di branding e ha un potere di influenzare il comportamento che non può essere sottovalutato. I colori che scegli per rappresentarti cambieranno il modo in cui il tuo pubblico ti percepisce e, in definitiva, ciò che pensano che rappresenti.
L’ annuncio, avvenuto a dicembre 2022, ha già messo in moto una macchina di marketing ben oliata. Per accompagnarlo e rispecchiare le origini digitali di Viva Magenta, Huge ha creato una serie di immagini e l’esperienza #Magentaverse.
Motorola ha lanciato un nuovo telefono:
Il marchio di sneaker Cariuma lancia sei modelli in magenta:
Ma l’attivazione più grande è arrivata da Miami Beach, dove Viva Magenta ha preso la forma di un’enorme mostra immersiva durante Art Basel: più di 3000 mq e due piani dedicati a un unico colore inteso a simboleggiare il tempo non convenzionale in cui viviamo, Magentaverse appunto.
Progettata da Artechouse Studio, il nuovissimo team di produzione interno di Artechouse, la mostra è costata 1 milione di dollari. È una cornucopia di esperienze multisensoriali che permette ai visitatori di esplorare i propri sentimenti ed emozioni associati al magenta. C’è una stanza ispirata all’allunaggio della NASA e un’altra stanza in cui i designer hanno tradotto il colore magenta in una serie di animazioni LED.
Photo via Artechouse Studio
I colori hanno significati estesi e comuni e altri personali e qui si è invitati ad andare oltre le definizioni standard per esplorare e superare i limiti che le definizioni stesse danno.
Il colore riflette un momento nel tempo, ciò attorno cui le persone gravitano e ciò in cui si impegnano, è un riflesso di ciò che stanno cercando. E probabilmente cinque anni fa Viva Magenta non poteva diventare il simbolo annuale perché il mood non era questo.
L’idea che un singolo colore possa catturare lo zeitgeist è sia ambiziosa che semplicistica, a seconda di quanto ci sentiamo naivə o cinicə, ma è un concetto che innumerevoli marchi hanno capitalizzato per anni.
Il problema della rilevanza
Uno dei brand messagge di Pantone, ovvero che il colore è un potente riflesso dei tempi, è stato attenuato dal momento che moltissimi marchi, competitor e non, hanno aggredito il mercato con la fuoriuscita di nuovi trend rilevanti nell’ambito del colore. In un certo senso, Pantone è diventato vittima del proprio successo: così tanti altri brand hanno rivendicato il proprio colore dell’anno che la presunzione originale non ha più lo stesso senso.
Una mostra immersiva, quindi, potrebbe aiutare a spostare l’approccio da un’economia guidata dai consumi a una più esperienziale: le persone sono invitate a sperimentare il colore in modo multisensoriale. Come mi fa sentire. Come suona. Che associazioni di pensiero e\o emozioni fa interconnettere dentro di me.
Questo passaggio di economie è innovazione, mantiene il brand al passo coi tempi e aumenta l’awareness, perché i consumatorə sono già abituati a esperienze integrate in cui tutto è connesso a tutto.
Essere rilevanti per il proprio pubblico è un’impresa straordinaria, specialmente nell’epoca iper tecnologica che stiamo vivendo, dove la distrazione è all’ordine del secondo e il tempo sincopato delle interazioni digitali ingoia in una voragine tutto ciò che rilevante non è.
Perciò spesso, serve una tappa intermedia: nel caso di Pantone la rilevanza, il feticcio, il diventare icona è passato in primo luogo dai designer industriali, da quelli di prodotto, dagli artisti e dai rivenditori. Sono loro il megafono di Pantone, sono loro che permettono al pubblico di venerare il marchio.
Quattro cose che ho imparato da Pantone
Puoi incorporare un trend all’interno della tua strategia, ma solo se parla la tua lingua, come in questo caso:
https://instagram.com/p/ClqkqoVNC7U/
Puoi creare una capsule collection o una limited edition, sfruttando segmenti di pubblico nuovi, come ha fatto Motorola o Uniqlo
Puoi mostrare la tua responsabilità sociale
Lokai, un marchio di gioielli con sede a New York, ha collaborato con Pantone per rilasciare braccialetti in Classic Blue, il colore dell’anno per il 2020.
Dal momento che il marchio voleva sottolineare di essere una organizzazione stabile e affidabile, ha lanciato una collezione di braccialetti blu e ha donato 1 dollaro di ogni acquisto per finanziare l’educazione artistica per i bambini nelle comunità più fragili
Puoi fare storytelling e invitare le persone a imparare di più (o creare un piccolo momento di edutainment)
Come ogni volta, per ora è tutto.
Che il nuovo anno sia vibrante e vivo e bold e inclusivo e ci riconnetta con la parte più primordiale di noi. Che abbia un sacco di sfumature, al di là di quelle pazzesche di Viva Magenta.
Ci si vede.